Investigatore Privato Daniele Sbrollini
Investigazioni in Italia e all’estero

ACCESSO ABUSIVO A SISTEMA INFORMATICO E GPS CON MICROFONO.

Investigatore Privato per Indagini Penali

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Sentenza 24 luglio 2019, n. 33499
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente –
Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere –
Dott. PISTORELLI Luca – rel. Consigliere –
Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere –
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso presentato da:
M.R., nato a (OMISSIS);
Mo.Cr.Da., nato a (OMISSIS);
P.V., nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza del 6/3/2018 della Corte d’appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
BIRRITTERI Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udito per gli imputati P. e Mo. l’avv. Federico Viviani, che ha concluso.
Svolgimento del processo

  1. Con la sentenza impugnata è stata confermata la condanna di M.R. per il delitto di
    accesso abusivo a sistema informatico, nonchè di Mo.Cr.Da. e P.V. per il reato di
    installazione di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni o conversazioni
    telegrafiche o telefoniche. In particolare, il M. è stato ritenuto responsabile di avere
    effettuato un accesso al Sistema Operativo Interforze del Ministero dell’Interno – sul
    quale era astrattamente abilitato ad operare nella sua qualità di sottufficiale dei
    Carabinieri – per finalità diverse da quelle istituzionali, e specificamente allo scopo di
    reperire le informazioni commissionategli da un conoscente su propri debitori. I
    giudici del merito hanno invece considerato il P., in qualità di titolare dell’agenzia
    investigativa “omissis”, colpevole di avere incaricato il Mo., suo collaboratore e
    concorrente nel medesimo illecito, dell’installazione nell’autovettura utilizzata da
    Pe.Gi. di un sistema GPS e di altro strumento idoneo ad eseguire captazioni sonore,
    con la conseguente acquisizione di riproduzioni di conversazioni il cui tenore il P.
    riferiva alla coniuge della persona offesa che lo aveva ingaggiato per accertare le
    frequentazioni del marito.
  2. Avverso la citata sentenza ricorrono tutti gli imputati, a mezzo dei rispettivi
    difensori.
    2.1 Il ricorso presentato nell’interesse del M. articola un unico motivo, con cui si
    eccepisce la genericità del capo di imputazione. Il ricorrente lamenta in particolare
    come siano stati indistintamente contestati all’imputato tutte e tre i commi dell’art.
    615 ter c.p., i quali contemplano invece diverse fattispecie integranti autonome
    ipotesi di reato. A tale difetto di specificità dell’imputazione, peraltro non rilevato in
    udienza preliminare e nel corso del giudizio di merito, sarebbe conseguita la lesione
    delle prerogative difensive del M. determinando quindi la nullità del provvedimento di
    condanna, che ha inevitabilmente recepito l’originaria incertezza della contestazione.
    In subordine il ricorrente eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato.
    2.2 I ricorso proposto nell’interesse del Mo. articola due motivi. Con il primo si
    lamentano l’erronea applicazione degli artt. 617 bis e 623 bis c.p., non ritenendosi
    integrato il delitto per cui è intervenuta condanna sotto i profili tanto dell’elemento
    oggettivo, quanto di quello soggettivo, nonchè vizi della motivazione. In particolare, il
    fatto attribuito al ricorrente, e consistente nella collocazione di una “cimice” e di un
    GPS all’interno dell’autovettura del Pe., non potrebbe ritenersi provato,
    contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del merito, sulla base delle
    intercettazioni delle conversazioni telefoniche intercorse nelle date del 3 e del 4
    luglio 2010, nonchè del 23 e del 25 luglio 2010, rispettivamente tra il P. ed il suo
    collaboratore e tra lo stesso P. e la cliente, S.A.. Invero, con riferimento al GPS,
    evidenzia il ricorrente come nella prima delle captazioni menzionate il titolare
    dell’agenzia investigativa abbia fatto riferimento alla sua già intervenuta installazione
    all’interno del veicolo a cura di un’altra persona. Con riguardo, invece, allo strumento
    impiegato per l’esecuzione dell’intercettazione ambientale, in primo luogo l’effettiva
    collocazione dello stesso ad opera del Mo. non potrebbe desumersi semplicemente
    dalla sua dichiarazione di disponibilità in tal senso, desumibile dalla conversazione
    telefonica del 4 luglio, non essendovi traccia dell’attribuzione del fatto al ricorrente in
    alcuna altra intercettazione. Peraltro, sia il Tribunale che la Corte d’appello
    sarebbero caduti in contraddizione, avendo essi, per un verso, ritenuto che la
    comunicazione del P. alla S., la sera dello stesso giorno, degli esiti delle captazioni
    illecitamente eseguite fosse espressione di un atteggiamento meramente
    millantatorio, dovendo ritenersi le apparecchiature non ancora installate in quel
    momento; ma, per l’altro, considerato invece verosimile quanto riferito dallo stesso
    titolare dell’agenzia alla sua cliente nel corso delle telefonate del 23 e del 25 luglio,
    pure aventi ad oggetto le presunte intercettazioni eseguite nella vettura del Pe. e
    delle quali, invero, non sono mai state rinvenute le registrazioni. Per di più, non si
    comprenderebbe perchè il ricorrente, qualora si fosse reso effettivamente autore del
    fatto a lui contestato, non lo avrebbe confessato all’organo inquirente al momento
    della confessione di ulteriori condotte di illecita installazione da lui commesse,
    potendosi già allora verosimilmente ritenere che tale episodio sarebbe stato posto in
    continuazione con gli altri illeciti per i quali ha patteggiato. Con il secondo motivo
    anche il Mo. eccepisce in subordine l’intervenuta estinzione del reato per
    prescrizione.
    2.3 Il ricorso presentato nell’interesse del P. articola sei motivi.
    2.3.1 Con il primo deduce violazione di legge, lamentando l’improcedibilità del reato
    per difetto di querela, dovendo ritenersi che il giudice di primo grado, pur avendo
    formalmente condannato il P. ed il Mo. per il reato di cui all’art. 617 bis c.p., abbia
    invece implicitamente riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 615 bis c.p., reato per
    l’appunto procedibile solo a querela di parte. Tanto sarebbe dimostrato
    dall’irrogazione della pena della reclusione di durata pari a sei mesi, inferiore al
    minimo edittale stabilito per il delitto contestato, nonchè dal fatto che il Tribunale, in
    relazione alle analoghe condotte poste in essere nella baita del Pe., nel
    proscioglierlo ex art. 649 c.p.p., aveva ritenuto integrata proprio la fattispecie di cui
    all’art. 615 bis c.p., non essendosi nel presente procedimento spesa alcuna
    argomentazione in merito alla configurabilità del diverso delitto contestato.
    2.3.2 Con il secondo motivo si deduce l’erronea riconduzione del fatto addebitato
    all’imputato entro l’ambito di applicazione del citato art. 617 bis c.p., non potendo,
    neanche per effetto delle previsioni di cui all’art. 623 bis c.p., tale norma
    incriminatrice operare rispetto a condotte – quali il posizionamento del GPS – non
    implicanti l’inserimento del terzo in un canale di trasmissione di dati, coerentemente
    con quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. Con il terzo motivo il ricorrente
    lamenta invece erronea applicazione della legge penale, rilevando come la condotta
    sarebbe scriminata ai sensi del D.M. 1 dicembre 2010, n. 269, art. 5, il quale –
    consentendo lo svolgimento, da parte dell’investigatore privato autorizzato, di talune
    attività, comprensive del “pedinamento” anche a mezzo di strumenti elettronici –
    avrebbe dovuto condurre all’esclusione dell’antigiuridicità della condotta di
    posizionamento del GPS. 2.3.3 Con il quarto motivo si deducono vizi della
    motivazione, non avendo la Corte d’appello argomentato in merito alla
    configurabilità, a tutto concedere, del diverso reato di cui all’art. 615 bis c.p.,
    implicitamente ritenuto dal giudice di primo grado. Peraltro, si rileva l’inapplicabilità
    anche di tale norma incriminatrice ai fatti contestati al P., tanto con riferimento al
    posizionamento del GPS, quanto rispetto all’installazione della “cimice” nell’abitacolo
    della vettura del Pe.. Anche con riguardo a tale ultima condotta, infatti, difetterebbe
    uno degli elementi costitutivi del reato, ed in particolare la riferibilità delle notizie e
    delle immagini attinenti alla vita privata ai luoghi di privata dimora richiamati dall’art.
    614 c.p., non comprensivi secondo quanto ritenuto da questa Corte – dell’autovettura
    che si trovi sulla pubblica via. Si contesta inoltre l’insufficienza degli elementi
    probatori acquisiti a provare l’effettiva installazione dello strumento di captazione,
    ben potendosi ritenere le conversazioni telefoniche tra il ricorrente e la S.
    espressione di un atteggiamento meramente millantatorio del primo, considerato
    anche il mancato rinvenimento delle registrazioni asseritamente effettuate.
    2.3.4 Con il quinto e il sesto motivo si lamentano il difetto assoluto di motivazione
    sull’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., sollecitata nel
    giudizio di primo grado e con i motivi di appello, nonchè l’insufficiente
    argomentazione dei giudici del merito in ordine al diniego delle circostanze
    attenuanti generiche.
    Motivi della decisione
  3. Il ricorso del M. è inammissibile.
    1.1 Deve in primo luogo ricordarsi come, nell’ipotesi di eventuale genericità del capo
    di imputazione, qualora nella sede dell’udienza preliminare il giudice non solleciti il
    pubblico ministero a porvi rimedio mediante la precisazione della contestazione
    (Sez. U, n. 5307/2008 del 20/12/2007, P.M. in proc. Battistella, Rv. 238239), si
    configuri una nullità del decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 429 c.p.p.,
    commi 1, lett. c), e comma 2. Tale invalidità è qualificata dal costante orientamento
    della giurisprudenza di legittimità come nullità relativa, e non anche come nullità di
    ordine generale, non riguardando l’intervento, nè la rappresentanza o l’assistenza
    dell’imputato; essa, in quanto tale, deve essere eccepita nel termine stabilito per la
    sollevazione delle questioni preliminari al dibattimento, ex art. 491 c.p.p. (Sez. 5, n.
    1382/2017 del 14/10/2016, C., Rv. 268872). Non risultando che il ricorrente abbia
    eccepito alcunchè nel termine suindicato, nè tantomeno che abbia devoluto la
    questione al giudice dell’appello, deve ritenersi ormai preclusa la possibilità di fare
    valere la paventata invalidità.
    1.2 Il motivo è comunque manifestamente infondato anche nel merito. Deve infatti
    escludersi che il capo di imputazione relativo alla posizione del M. difetti di quei
    caratteri di chiarezza e di precisione necessari ad assicurare la piena esplicazione
    del diritto di difesa della persona accusata. Invero, il fatto contestato all’imputato
    risulta sufficientemente specificato nei suoi diversi aspetti, essendo chiaramente
    individuati la condotta illecita oggetto dell’accusa, nonchè gli elementi che, secondo
    l’ipotesi formulata dal pubblico ministero consentono di ritenere integrata l’ipotesi
    aggravata di cui all’art. 615 ter c.p., comma 2, n. 1), e comma 3. Posto il necessario
    riferimento al comma 1, ai fini dell’individuazione della condotta tipica, consistente
    nell’abusiva introduzione nel sistema informatico o telematico, o nel mantenimento
    nello stesso contro la volontà di chi ha il diritto di escluderlo, il riferimento ai commi
    successivi è giustificato dall’esplicita e chiara contestazione della commissione del
    fatto in qualità di pubblico ufficiale e con violazione dei doveri di servizio e abuso
    della qualità di operatore del sistema (art. 615 ter cpv. c.p., n. 1), nonchè su un
    sistema relativo all’ordine e alla sicurezza pubblica (art. 615 ter c.p., comma 3).
    1.3 Quanto sopra indicato, in merito al legittimo richiamo, nel capo di imputazione,
    dei commi 1, 2 e 3, in via congiunta, ai fini della compiuta individuazione del reato
    oggetto dell’accusa, è, soprattutto, pienamente giustificato dalla preferibile
    qualificazione delle ipotesi contemplate dai commi successivi al primo come
    circostanze aggravanti, piuttosto che – secondo l’orientamento giurisprudenziale
    richiamato dal ricorrente (Sez. 5, n. 1727 del 30/9/2008, Romano, Rv. 242939) –
    quali fattispecie autonome. In questo senso si sono infatti definitivamente espresse
    le Sezioni Unite (Sez. U, n. 4694/12 del 27/10/2011, Casani ed altri, Rv. 251270;
    Sez. U, n. 41210 del 18/5/2017, Savarese, non massimata sul punto), che hanno
    ritenuto l’ipotesi disciplinata dall’art. 615 ter cpv. c.p., n. 1), qualificabile come
    circostanza aggravante “esclusivamente soggettiva”, riferendosi la norma all’abuso
    della qualità soggettiva pubblicistica, “che rende più agevole la realizzazione della
    condotta tipica, oppure che connota l’accesso in sè quale comportamento di speciale
    gravità”. Pertanto, sebbene nella pronunzia citata la Suprema Corte affermi che per il
    pubblico agente il reato finisca per essere sempre aggravato, questo non esclude la
    natura circostanziale dell’ipotesi richiamata; tale qualificazione – riferibile anche alla
    previsione di cui al comma 3 – appare invero suggerita dal tenore letterale delle
    disposizioni in esame, e dal loro rinvio al comma 1 per la descrizione del fatto illecito,
    nonchè dalla previsione, da parte dei commi 2 e 3, di elementi “accidentali”
    aggiuntivi, attinenti alla qualifica soggettiva o alle caratteristiche dell’oggetto della
    condotta, tali da esprimere un maggiore disvalore rispetto a quello riferito all’ipotesi
    “base”.
    1.4 manifestamente infondata è infine l’eccezione di prescrizione proposta dal
    ricorrente, posto che il relativo termine non si è ad oggi ancora compiuto. Infatti per
    l’ipotesi in cui il fatto sia aggravato ai sensi sia del secondo che dell’art. 615 ter c.p.,
    comma 3, la pena edittale massima è quella della reclusione di otto anni. Ne
    consegue che, trattandosi di aggravanti ad effetto speciale, è a tale pena che deve
    guardarsi per calcolare il termine di prescrizione ordinario, mentre quello prorogato è
    di conseguenza pari a dieci anni, per l’appunto non ancora decorsi alla data odierna.
  4. Venendo ai ricorsi degli altri due imputati, assorbente è l’esame del secondo e del
    quarto motivo di quello del P., che sono fondati nei termini di seguito indicati e il cui
    accoglimento, stante il carattere non strettamente personale delle censure, deve
    estendersi anche alla posizione del Mo..
    2.1 La norma incriminatrice di cui all’art. 617 bis c.p., appresta infatti una tutela
    anticipata alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni telefoniche e telegrafiche
    intercorrenti tra soggetti terzi. L’art. 623 bis c.p., volto ad evitare per quanto possibile
    vuoti di tutela derivanti dal costante sviluppo dei mezzi tecnologici, ha comportato
    l’estensione dell’ambito di operatività della disposizione citata ai fatti concernenti
    “qualunque altra trasmissione a distanza di suoni, immagini o altri dati”. Pur
    essendone, pertanto, derivato un ampliamento delle potenzialità applicative della
    norma incriminatrice in esame, la protezione dalla stessa fornita resta limitata alle
    comunicazioni che avvengano, appunto, “a distanza”; e tra queste ultime non
    possono includersi le conversazioni tra presenti oggetto di intercettazione cd.
    ambientale, a meno di non ricorrere all’analogia in malam partem. Si ritiene pertanto
    di condividere l’orientamento giurisprudenziale pressochè unanime, che nega la
    riconducibilità all’art. 617 bis c.p., di condotte – quali l’installazione all’interno di
    un’automobile di una microspia tale da intercettare solo le conversazioni intrattenute
    dai soggetti i quali si trovino nel veicolo (ex multis Sez. 5, n. 4264/2006 del
    16/12/2005, P.M. in proc. Imbriani, Rv. 233595) – non idonee a comportare l’illecito
    inserimento in un canale di comunicazione riservato tra persone diverse, da cui
    l’agente sarebbe stato altrimenti escluso. Deve conseguentemente escludersi che
    integrino il delitto ritenuto dai giudici dell’appello i fatti ascritti al Mo. e al P.,
    consistenti nella collocazione, all’interno dell’automobile del Pe., di un rilevatore GPS
    e di uno strumento per l’esecuzione di intercettazioni ambientali.
    2.2 Anche a prescindere dall’obiezione circa l’eventuale implicita riqualificazione già
    operata in primo grado dei fatti in questione ai sensi dell’art. 615 bis c.p., deve
    invece convenirsi con il ricorso del P. che è a tale ultima fattispecie criminosa che gli
    stessi devono essere ricondotti, integrando una tipica ipotesi di interferenza illecita
    nella vita privata. Non di meno alla descritta riqualificazione – comunque consentita
    in quanto sollecitata dagli stessi ricorrenti – segue in ogni caso il proscioglimento
    degli imputati, posto che il diverso reato qui ritenuto è procedibile esclusivamente a
    querela di parte e dagli atti emerge che questa non è stata mai presentata dalla
    persona offesa. Ne consegue che la sentenza impugnata, con riguardo alla
    posizione del P. e del Mo., deve essere annullata senza rinvio per difetto della
    indicata condizione di procedibilità.
    P.Q.M.
    Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Mo.Cr.Da. e P.V.,
    perchè, previa riqualificazione del fatto loro ascritto nell’art. 615 bis c.p.,
    l’azione penale non poteva essere esercitata per mancanza di querela. Dichiara
    inammissibile il ricorso di M.R. che condanna al pagamento delle spese
    processuali e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle
    Ammende.
    Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.
    Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2019

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